
HOME / VIAGGI / ISLANDA ON THE ROAD / GIORNO 7
Da Akureyri ad Hólmavík
Al risveglio ad Akureyri ci accoglie una fitta nebbia ma, anche oggi, le cose da vedere sono tante e non possiamo aspettare per metterci in marcia. Così, dopo una veloce colazione, ci mettiamo in auto e, prima di partire alla volta di Ólafsfjörður, facciamo un giro in auto della cittadina. Non riusciamo a vedere molto perché la nebbia è veramente fitta. C’è, però, una cosa molto carina che mi ha colpito mentre guidavo. Qui il rosso dei semafori è a forma di cuore ed il motivo è molto romantico e ho voglia di raccontarvelo. Nel 2008 l’Islanda, come molti altri paesi, fu messa in ginocchio dalla crisi economica e. per le strade di Akureyri, si respirava un clima di tristezza e preoccupazione. In occasione del “Town Festival”, la festa di fine estate che si celebra ogni anno l’ultimo weekend di Agosto, l’amministrazione comunale decise di lanciare la campagna di sensibilizzazione “Brostu med hjartand” che, in italiano, si traduce “Sorridi con il cuore”. Questa campagna era incentrata, per l’appunto, sul simbolo di un cuore rosso che iniziò a comparire dappertutto: dalle vetrine dei negozi ai semafori! Dopo più di 10 anni da quell’iniziativa, questo cuore rosso è diventato il simbolo della cittadina e ulteriore attrazione turistica per quella che è la porta di ingresso ai Fiordi Occidentali.

Durante il tragitto per Ólafsfjörður ci imbattiamo in una piccola chiesetta con cimitero annesso. Non c’è nessuno nelle vicinanze e la nebbia rende l’ambiente piuttosto spettrale, quale occasione migliore per scattare qualche foto?! Proseguiamo verso Ólafsfjörður e ci imbattiamo nel primo di una serie di lunghi tunnel che caratterizzano la zona dei fiordi occidentali. Sto parlando del Múlagöng, un tunnel di 3,4 km ad una sola corsia ma a doppio senso di marcia. Le pareti sono grezzamente scavate nella roccia e, nonostante l’illuminazione, la galleria è molto cupa. Essendo ad una sola corsia, bisogna prestare molta attenzione alle auto che provengono in direzione opposta e accostarsi negli slarghi, indicati con la lettera M, per farle passare. Comunque è più facile a farsi che a dirsi! Arrivati ad Ólafsfjörður la nebbia non ne vuole sapere di diradarsi e questo ci impedisce di fare un trekking, per ammirare i fiordi, che avevo inserito nel programma di viaggio.


Decidiamo, quindi, di proseguire verso la cittadina di pescatori Siglufjörður in cui si trova il “famosissimo” museo dell’aringa! Prima di arrivare bisogna, però, percorrere un secondo tunnel: il Héðinsfjörður. Questa volta è a doppia corsia ma è lungo ben 7 km! Usciti dal tunnel arriviamo a Siglufjörður e ad accoglierci…non c’è nessuno. A prima vista la cittadina sembra vuota, non si vede gente per le strade e la nebbia continua a fare da padrona. Per fortuna il museo è aperto e ne approfittiamo per visitarlo. Non è entusiasmante ma, per passare una mezz’oretta in attesa di andare a pranzare, va più che bene. Usciti dal museo facciamo una passeggiata al porticciolo e troviamo un ristorante aperto dove ordiniamo, come antipasto, il famosissimo hákarl. Si tratta di squalo fermentato, per chi non lo sapesse, ed è un cibo tipico della cucina islandese. Il suo odore è molto forte e, a detta di tutti, nauseabondo. Il suo sapore e la sua consistenza non sono di certo quelle di un cibo prelibato. Per questo motivo gran parte di chi prova ad assaggiarlo non riesce a mandarne giù più di un boccone. Però noi non facciamo parte di coloro che hanno uno stomaco sensibile e finiamo tutti i cubetti di hákarl che avevamo nel piatto, lasciando stupita la cameriera. La ragazza resta ancora più stupita dopo la nostra richiesta di averne un’altra porzione! Sicuramente si sarà chiesta da dove venissimo e, infatti, poco dopo non esita a chiedercelo. Credo che la risposta l’abbia lasciata ancora più perplessa!

Terminato il gustoso pranzo ci mettiamo in marcia verso Glaumbær. Qui si trova un’antica fattoria con i tetti in torba dichiarata patrimonio culturale nel 1947 e trasformata in Museo di Cultura Popolare dello Skagafjörður. Nota curiosa è che la costruzione è quasi interamente in torba con struttura portante in legno. Il legname, poiché ai tempi della costruzione di queste fattorie non vi erano alberi sull’isola, proveniva esclusivamente dalle mareggiate oceaniche che formavano cumuli di tronchi sulle spiagge. È dunque interessante vedere come una tecnica costruttiva che utilizza solo materiali reperibili sul posto, oltre ad essere un ottimo esempio di edilizia ecologica, offra buone capacità di isolamento termico.

Sono le quattro del pomeriggio passate e ci aspettano 130 km di strada per raggiungere il Faraglione di Hvítserkuk che, tradotto in italiano, significa “camicia da notte bianca”. È un faraglione di origine basaltica, alto circa 15 metri, con due fori alla base. Secondo la leggenda era un troll che non sopportava più il suono delle campane del convento di Þingeyrarklaustur,così decise di andarle a distruggere. Fu, però, colto alla sprovvista dal sorgere del sole e si ritrovò, quindi, pietrificato per sempre. Quando arriviamo alla spiaggia c’è bassa marea, il che è un bene perché possiamo raggiungere a piedi il faraglione la cui base, altrimenti, sarebbe sommersa dall’acqua. Dal punto di vista fotografico, però, la mancanza totale di acqua non mi permette fotografare il faraglione mentre si specchia in una pozza d’acqua. Ma pazienza, è stupendo lo stesso!

Sono passate le 20:00 ed è arrivato il momento di avviarci verso Holmavik per cenare per poi raggiungere il nostro alloggio nei pressi di Reykhólar, a 180 km e 2 ore e mezzo di strada. Mentre siamo in auto, la nebbia, che ci aveva accompagnato durante tutta la giornata e che sembrava essere sparita, ricompare e si fa sempre più fitta. Nel frattempo la luce si fa sempre più fioca per lasciare spazio al buio della sera. La combinazione tra nebbia e buio, mentre sono alla guida, mi fa desistere dal raggiungere la città di Holmavik e decidiamo di raggiungere direttamente il nostro alloggio per la notte. Sono quasi le 22 e le 2 ore e mezzo previste diventano qualcosa in più. Sono costretto a procedere molto lentamente perché non riesco a vedere quasi nulla a causa della nebbia e nemmeno i fendinebbia riescono a migliorare la situazione. Ho paura che possa sbucare dal nulla e all’improvviso qualche pecora, il che sarebbe un bel problema perché non riuscirei ad evitarla. Ma per fortuna, essendo ormai sera, non c’è l’ombra di nessun animale e nemmeno di altre auto. Dopo poco più di 3 ore, finalmente, arriviamo a destinazione. Subito dopo aver parcheggiato la nebbia sembra diradarsi.

Ed ecco che penso che la nebbia che ci ha accompagnato durante tutta la giornata sia stata dovuta ad uno scherzo causato dalla sfortuna, ma poco dopo mi ricrederò. È quasi mezzanotte e, mentre ci sistemiamo in camera, guardando dalla finestra notiamo che il cielo è completamente limpido e si intravede una strana luce. Subito penso all’aurora boreale, anche se ancora è soltanto fine Agosto ed è improbabile che se ne riesca a vedere una. La proprietaria della struttura dove alloggiamo, invece, ci dice che la sua app segnala una buona possibilità di aurore nella zona. Non me lo lascio ripetere due volte, afferro treppiedi e fotocamera e corro fuori. Ed ecco che dopo una decina di minuti compare Lei, la mia prima aurora boreale che inizia a danzare timidamente nel cielo. Il fenomeno dura una quindicina di minuti, giusto il tempo di ammirarla e di scattarle qualche foto, ed è molto flebile rispetto alle aurore invernali. Quella che pensavo fosse stata una giornata metereologicamente sfortunata si è rivelata, invece, parecchio fortunata. È arrivato il momento di andare a dormire, domani ci aspetta un’altra intensa giornata!
Il Viaggio continua...